E’ nato l’aceto Pahontu, unica acetaia nei Colli Euganei

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Acetaia Pahontu è il frutto della ricerca, della passione, dell’amore e dell’artigianalità per quello che dovrebbe essere riconosciuto a pieno titolo come un alimento, esattamente come lo è la materia prima dalla quale deriva, ossia il vino. Unicamente vini biologici e biodinamici senza solfiti aggiunti, rivelatori della mineralità e sapidità del terreno, espressione sincera e senza compromessi di un territorio vulcanico come i Colli Euganei. Il prodotto finale è un aceto dal profumo complesso di sambuco, penetrante, gradevole e sapido, grazie alla mineralità tipica del terreno dei Colli Euganei, insieme ad un sapore agro ben equilibrato con sfumature vellutate e fruttate tipiche del moscato. zucca marinataL’aceto Pahontu, nasce con l’intento di valorizzare e nobilitare un prodotto, che come altri prodotti ritenuti umili, è sottovalutato e non sufficientemente valorizzato della cucina italiana.
L’Acetaia Pahontu è l’unica acetaia che produce aceto di vino nei Colli Euganei in provincia di Padova ed è stata fondata da Mauro Meneghetti, restaurant Manager nel Gruppo Alajmo, sommelier formatore e docente del Master della Cucina Italiana e Simona Pahontu, giornalista e comunicatrice.
Si fa presto a dire aceto, ma non è affatto facile, oggi, trovare un aceto vero, realizzato in maniera corretta e partendo da materie prime di qualità. Eppure parliamo di un ingrediente indispensabile. Usare aceto non vuole dire mangiare acido, vuol dire mangiare fresco perché l’aceto dona freschezza, toglie stucchevolezza, conferisce digeribilità ai piatti ed è un alleato di chi cucina. La selezione del vino da acetificare avviene in base alla componente qualitativa e aromatica. Questo permette di ritrovare nel piatto un ingrediente essenziale per valorizzare un piatto in virtù del suo valore aggregante ed integrante al tempo stesso.
millefoglie di pescaIl credo dei due fondatori dell’Acetaia Pahontu, Mauro Meneghetti e Simona Pahontu, prevede che l’aceto sia integro, cioè non diluito con acqua, che venga affinato in botti di legno senza il controllo delle temperature né del tempo (l’aceto Pahontu rimane in botte almeno un anno) e disconosce l’utilizzo della cosiddetta “madre” considerata un falso mito nel mondo degli aceti: “si tratta di un agglomerato cellulosico di natura batterica inutile al processo che, depositandosi sul fondo, può anzi creare odori sgradevoli”, spiegano i fondatori. Semplici regole da seguire per la produzione di un buon aceto: una materia prima di qualità, non diluita e che non sia scarto di altre produzioni; i tempi legati al passare delle stagioni rispettati senza forzature meccaniche che andrebbero ad alterare le qualità organolettiche della materia prima; nessun intervento sulla temperatura per rispettare i profumi e gli aromi originari che attraverso l’ossidazione evolvono e si arricchiscono. Attualmente, l’aceto Pahontu, è tra gli aceti con acidità più alta sul mercato (10 vol.) volutamente tenuta naturale per mantenere intatto il corredo aromatico del vitigno di partenza, il moscato. Acidità imbattibile in tutte le sue evoluzioni, scalpitante e apertissima nella versione giovane, dove la fanno da padrona la persistenza della parte fruttata, un po’ più domata e rotonda quella che si trova nel prodotto finito e imbottigliato.

polpetta di lenticchieAceto, ingrediente classico, ma poco considerato

Imprescindibile (e classico) complemento all’olio extravergine di oliva per condire l’insalata – dando origine alla vinaigrette, dal nome francese che ne riprende le origini di vin aigre, vino acido –, l’aceto è un ingrediente fondamentale (ma spesso nascosto) per tantissime preparazioni casalinghe o diventate ormai familiari da leggere sui menu: salse come la bernese o il tipico bagnet piemontese, giardiniere, fondi deglassati, gastrique, marinate, cacciatora. Spesso però, è anche uno dei prodotti acquistati più distrattamente, mettendo nel carrello della spesa bottiglie qualsiasi senza far troppo caso all’etichetta, magari da usare anche per lucidare i fornelli. Destinando alle occasioni speciali – o semplicemente a qualche piatto un po’ più elaborato o appagante – la bottiglia di balsamico tradizionale. Invece l’aceto di vino di qualità è una meraviglia, e sono pochi i piatti cui non dia una spinta di sapore e vivacità grazie alla sua acidità e fragranza. Per questo motivo,con lo chef Paolo Giraldo del ristorante CorteVerde Chiara, si è pensato un menu alla riscoperta dell’acidità portando a rendere centrale il ruolo dell’aceto nel piatto. L’aceto è stato utilizzato come ingrediente per la sua capacità di esaltare le sensazioni gustative, smussare i toni stucchevoli, dare profondità ai piatti, sollecitare il palato con sferzate ben modulate.
Tra i cinque gusti fondamentali – amaro, acido, dolce, salato, umami – su cui giocare per creare infinite combinazioni di sapori, l’agro è forse il più apprezzato nella cucina contemporanea per la sua capacità di esaltare i piatti. Gli chef lo ricercano attraverso fermentazioni spinte, bacche rare, erbe selvatiche frutto di meticolosi foraging, agrumi esotici e un repertorio di altri prodotti, mentre capita meno di frequente che scelgano di usare come ingrediente tout court l’elemento acido per eccellenza: l’aceto!
Tanti gli impieghi possibili in cucina
Dunque un buon aceto non solo sull’insalata, ma sul bollito di carni miste, sulla pasta e fagioli, sul pesce, su fichi caramellati, sulle frittate, specie se di erbe, sulle uova, sul frico di formaggio Montasio, sulla crema di uova sode, capperi e maionese da abbinare agli asparagi, su crudi di pesce, sulle capesante grigliate. E ancora per conservare le verdure, sul risotto mantecato, nella salsa tonnata, su gamberoni al vapore, sulla piovra, sull’anguilla in carpione o fritta, sul tonno ai ferri, sulla frittata di cipolla di Tropea… Essendo l’aceto Pahontu anche un “aceto da bere”, la mattina in un bicchiere d’acqua: un cucchiaio di aceto, un cucchiaino di miele e un pizzico di sale è fonte di sali minerali e benessere per l’organismo.

Il metodo dell’acetificazione statica superficiale

Dei tre metodi esistenti per fare l’aceto (acetificazione statica superficiale; il metodo Frings, ossia quello utilizzato dall’idustria per produrre aceto in 48 ore; il metodo lento a truciolo), quello che interessa l’Acetaia Pahontu è solo quello che viene definito metodo primitivo, cioè la lentissima acetificazione statica superficiale. Con il metodo primitivo, solo il tempo – aiutato da una temperatura dell’acetaia che non scenda sotto i 20° e non superi i 30°, ma senza forzature – fa sì che il processo di acetificazione (dunque una seconda fermentazione acetica) sia accurato e completo. L’obiettivo è di creare le condizioni ideali per far lavorare batteri “buoni” che trasformino tutto l’alcol in acido acetico con un processo lento ma inesorabile; la loro presenza si nota quando sulla superficie del liquido si forma un sottilissimo velo batterico, sotto il quale l’aceto resta puro e limpido mantenendo a lungo inalterati – anzi, esaltandoli grazie alla componente volatile – la fragranza e i profumi dell’ingrediente base: il vino di qualità.
Negli altri due, che puntano ad accorciare drasticamente i tempi di produzione, il calore determina la perdita delle componenti volatili (dunque degli aromi, i profumi) del vino – la materia prima più frequentemente utilizzata in Italia – che possono essere eventualmente recuperate e aggiunte nuovamente; mentre le lavorazioni troppo veloci e l’uso di materie prime di scarsa qualità fanno sì che gli acetobatteri vadano in qualche modo “dopati” con aggiunta di nutrienti (glucosio, lievito, vitamine, minerali) per mantenere le loro “performance”.
Inoltre, il prodotto è solitamente diluito con acqua sia all’inizio del processo (per abbassare il contenuto alcolico del vino favorendo il lavoro dei batteri) sia alla fine, per evitare di avere un prodotto troppo acido. Il contenuto finale di una bottiglia (aceto realizzato con il metodo industriale e il metodo lento a truciolo) è solitamente tra il 20% e il 40% di acqua che non è obbligatorio indicare in etichetta; può esserci anche un residuo alcolico dell’1,5%vol. per gli aceti commerciali e fino al 4%vol. per quelli artigianali acetificati con metodo statico superficiale.

Le origini dell’aceto
Le sue origini si perdono nella notte dei tempi, indissolubilmente legate a quelle del vino o, per meglio dire, alla fermentazione di frutta o idromele, come avveniva in Mesopotamia o in Egitto dove, come testimoniano alcuni ritrovamenti nelle tombe egizie, era usato come pagamento per gli imbalsamatori. Nell’antica Roma era la base per la posca, dissetante e tonificante mistura di acqua e aceto bevuta da gladiatori, legionari e contadini; mentre nel Medioevo il “rimedio dei quattro ladri” – o aceto di Marsiglia, infuso di erbe medicinali come salvia, lavanda, rosmarino e timo in aceto di vario tipo – era ritenuto in grado di proteggere dal contagio della peste, e ancora oggi in Francia viene commercializzato come blando rimedio ad ampio spettro.
….e usare l’aceto nell’Arte? Ci ha pensato Elisabetta Rogai con la sua EnoArte
Artista eclettica e curiosa, una delle artiste più quotate del panorama internazionale, la pittrice toscana Elisabetta Rogai ha reinterpretato in chiave contemporanea l’uso dell’aceto, portandolo dalla tavola alla tavolozza, dipingendo in una sua performance live e usando con grande successo – al posto dei colori – l’aceto balsamico.

Informazioni
L’Acetaia Pahontu è ospite all’interno dell’Azienda Agricola Le Volpi in:
Via Gemola, 14 a Baone (Padova).
Sito web: www.pahontuvinegar.com
email: info@pahontuvinegar.com
Prezzo al pubblico: euro 25,00

E’ nato l’aceto Pahontu, unica acetaia nei Colli Euganeiultima modifica: 2020-10-07T07:59:05+02:00da eleoma
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