Il Lambrusco di Sorbara appartiene alla famiglia dei Lambruschi D.O.P. è un vino rosso o rosato frizzante prodotto dall’omonimo vitigno in una decina di comuni della bassa modenese tra i fiumi Secchia e Panaro, dove in conseguenza dalle alluvioni trova un fondo sabbioso ricco di potassio.
La vite del Lambrusco di Sorbara ha una sfortunata peculiarità genetica, in parole povere, la parte maschile della pianta è posta sotto a quella femminile, creando non poca difficoltà all’impollinazione e poiché nel Sorbara l’acino fatica a svilupparsi, la produzione è sempre piuttosto scarsa.
Per facilitarne la fecondazione è piantata a fianco a fianco con la vite di Salamino, per via di questa collaborazione botanica tra differenti specie di
lambrusco, il disciplinare concede che nel Lambrusco di Sorbara sia contenuta il 40% di Salamino ma come percentuale massima e quindi si può benissimo anche vinificare in purezza, cioè con solo uva di Lambrusco di Sorbara.
Se la quantità è scarsa, la qualità invece è sempre eccellente, tra i Lambruschi del modenese il Sorbara è quello più chiaro, di un rosso rubino brillante, più il vino sarà scuro, più alta sar à la percentuale di Salamino contenuto nel Lambrusco.
L’uva Salamino è, infatti, molto più scura con una buccia che tinge moltissimo.
E’ molto facile trovare davanti ad un filare di Lambrusco una pianta di rosa, che pare conferisca profumo e sapore al vino ma il suo scopo principale è quello di segnalare eventuali malattie della pianta, pare, infatti, che rosa e vite soffrano delle stesse malattie, quindi se ci si troverà davanti ad una rosa ammalata sarà un campanello d’allarme per l’intero filare di vite.
Il Lambrusco di Sorbara è un vino molto fruttato, il profumo ricorda la rosa, i frutti rossi, la marasca, la viola da cui il suo soprannome: il Lambrusco della viola, la spuma è rosea ed evanescente con un perlage di media lunghezza.
Il sapore è “nervoso” come il suo carattere, fresco, acerbo, mai troppo tannico (legnoso).
Dopo essere stato imbottigliato, in primavera ha luogo una rifermentazione naturale nel corso della quale il Sorbara assume la tipica frizzantezza, questa è a mio avviso la vinificazione che conferisce quel tipico sapore asprigno che fa stringere le guance, che ricorda il Lambrusco di un tempo, quando avveniva il “rito” dell’imbottigliamento e, quando la famiglia si riuniva e si faceva a gara per tirare il vino con la gomma dalla damigiana e nulla andava sputato.
La presa di spuma può avvenire anche in autoclave a temperatura controllata, dove l’innovazione gioca a creare nuove tipologie di spumantizzazione che rendono il vino più “simpatico”, ruffiano, che invita alla beva.
Stanno prendendo piede anche accorgimenti sulla raccolta delle uve come ad esempio, la vendemmia notturna molto affascinante, tecnicamente è cercata una temperatura più bassa che favorisce la spumantizzazione.
In ogni caso è vietata la gassificazione artificiale o l’aggiunta di zuccheri.
Sorbara è anche la frazione che impone il nome all’omonimo vitigno e al vino Lambrusco, il termine verrebbe invece da un grande albero di sorbo, che cresceva accanto al campanile della chiesa del paese che dava «Sorba rara».
Sorbara è citata in un documento del 1084 che fa riferimento alle truppe di Enrico IV sconfitte da Matilde di Canossa.
Narra una legenda che non furono le truppe della contessa a sconfiggere Enrico IV, bensì il vino Lambrusco, talmente gradito dai soldati dell’imperatore che ne bevvero abbondantemente la notte precedente alla battaglia, rimanendo il giorno dopo completamente “stesi” in preda ai fumi dell’alcool.
Le caratteristiche che rendono quest’antichissimo vitigno un vino straordinariamente moderno sono tre, la bassa percentuale alcolica, mediamente tra i dieci e undici gradi, che di questi tempi di alcoltest, ed etilometri da una mano alle nostre patenti.
La frizzantezza che rende il vino piacevole, beverino allegro.
Far partire il fungo di sughero del Lambrusco di Sorbara infonde allegria in famiglia o tra amici, come modo quando si stappa e brinda con i più blasonati spumanti o champagne.
In fine l’acidità che lo rende piacevole e sicuramente insuperabile nell’accompagnare i piatti più sostanziosi della cucina emiliana, pulendo il palato e predisponendo al boccone o alla pietanza successiva.
Ad maiora!
Paride Rabitti (Il Lambruscologo)