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Piacere Lambrusco

Presentiamoci come si deve, con una brusca e sincera stretta di mano, approfondiamo la conoscenza con questo vino che pieno di sorprese e curiosità vi affascinerà, vi avvolgerà il palato, lo spirito e la mente.
Il termine Lambrusco, è di origini molto antiche, già in epoca romana Virgilio nelle “Ecloghe” e Plinio il Vecchio nella sua “Naturalis historia” usavano il termine Lambrusca per denominare la vite selvatica, “Vitis labrusca” dall’unione di “labrum” e “ruscum”: pianta selvatica che nasce ai bordi dei campi.
Dalla fine del Trecento s’inizia a usare il termine “lambrusca” per indicare un determinato tipo di vitigno e non più la vite selvatica.
Nel Settecento la parola “lambrusco”, comincia a essere usata per indicare il prodotto ottenuto dalla vite Lambrusca e da allora il termine: “Vino lambrusco”, diventa sempre più popolare.
Con un’innovazione tecnica, fondamentale per la conservazione delle caratteristiche peculiari di questo vino, ossia l’introduzione di una bottiglia in vetro resistente e al relativo tappo in sughero, sigillo capace di opporsi alla pressione esercitata dall’anidride carbonica frutto della rifermentazione degli zuccheri che si ha il lambrusco più simile a quello che conosciamo oggi cioè frizzante, uno dei pochissimi vini rossi al mondo a possedere il dono delle bollicine.

Un’ampia documentazione storica riconosce alla zona di Modena l’origine del lambrusco, le cantine dei Duchi Estensi ne erano ben rifornite, e quando Modena era Capitale, lo esportava in Francia.
Il poeta Giosuè Carducci aveva per il Lambrusco un grande amore, veniva spesso a bere in un’antica trattoria ancor’oggi esistente a Modena e che porta il suo nome.
Filippo Tommaso Marinetti usava servire Lambrusco in taniche di benzina durante le cene futuriste, perché era un vino in movimento, vivo, vitale, giovane, frizzante.
Le bollicine fecero diventare il lambrusco, il vino futurista, un autarchico champagne.
In un recente passato nel 1970 i produttori hanno ottenuto il riconoscimento DOC per i vini Lambrusco di Sorbara, Lambrusco Salamino di Santa Croce, Lambrusco Grasparossa di Castelvetro e dal 2009 la DOC “Lambrusco di Modena”.
L’insieme dei pregi del lambrusco è il risultato di una serie di cause legate al terreno, al clima e alle genti, uno strano connubio di schiettezza e generosità, ma anche di genialità e passione.
In Emilia ma in particolar modo a Modena, si va particolarmente orgogliosi del “Vino Nostrum” con il quale si è instaurato un rapporto che va oltre al consumo, ma esiste oramai da secoli un rapporto di franco rispetto fiera affettività.
Modena è la vera patria del Lambrusco, i modenesi ne sono gelosi, il “Consorzio Marchio Storico dei Lambruschi Modenesi” e altre associazioni come il “Simposio dei Lambruschi” lavorano per riportare il lambrusco agli antichi fasti, di quando Gilles Villeneuve correva in Formula 1 con la tuta marchiata “Lambrusco” e si faceva fotografare ai box mentre scherzava con Enzo Ferrari con una bottiglia di lambrusco in mano, o quando Luciano Pavarotti girava per il mondo portando con sé il Lambrusco di Sorbara e i tortellini.
Dopo una parentesi buia: quella di “Giacobazzi is my wine” era lo slogan di una campagna che puntava a invadere il mercato americano con milioni di lattine di lambrusco, il sogno di sprovincializzare quel vino così facile e divertente e smarcarlo dal “pistone” cioè antica bottiglia da due litri dei nostri nonni ai tempi della civiltà rurale, da una cucina così poco internazionale e da un territorio che chiudeva il lambrusco in una gabbia contadina e allora insopportabile.
Erano anni in cui si respirava un’aria d’insofferenza verso tutto quello che era tradizionale e territorio. Giacobazzi non conquistò il mondo e il lambrusco diventò per tutti il vino che non è un vino, una burla enologica di una terra eccessivamente generosa.
Sono stati anni bui dove a tenere, la rotta giusta sono stati i vecchi valori dell’attaccamento alla terra e dell’antica tradizione familiare di alcune storiche aziende private.
Oggi finalmente si è capito che tradizione e innovazione possono tranquillamente andare a braccetto, perché l’innovazione che ottiene successo diventerà la tradizione di domani e grandi persone come Massimo Bottura e Giuseppe Palmieri incarnano questa “vinosofia”.
Lambrusco di Sorbara, lo champagne dei modenesi tra miseria e nobiltà fra tradizione e innovazione, dalla civiltà contadina a Facebook, la tradizione che s’innova e ridiventa tradizione.
Vino moderno, piccante di grande beva di carattere frizzante in tutti i sensi che dona allegria, di modesto grado alcolico, il vinello conviviale per eccellenza, mai spremitura di bacche al mondo fu più adatta al simposio, allo stare insieme, alla buona compagnia e alla buona tavola in allegria, non proprio un vino da meditazione ma da festa.
Il lambrusco, o per meglio dire i lambruschi, perché ce ne sono differenti tipi, sono sempre all’altezza di ogni situazione e pietanza, dal pesce alla pizza, alla grassa cucina emiliana, dai tortellini all’anguilla, passando per il sublime sugo di porco padano detto anche ragù, il vino italiano più conosciuto e bevuto nel mondo.
E’ un vino simpatico, che conquista, e con la sua spuma briosa fin dallo “stappo”, dona gioia i modenesi che pasteggiano a champagne e spesso non se ne rendono conto.
I Lambruschi però non sono solo modenesi ma negli ultimi anni si sono fatti strada: il lambrusco reggiano, il lambrusco, il Lambrusco di Parma, lambrusco maestri….Cin cin!!!
Paride Rabitti

U’n immagine di un bassorilievo su una porta del Duomo di Modena
La foto di una vigna molto rappresentativa del lambrusco coe’ la Vigna del Cristo a Sorbara

Piacere Lambruscoultima modifica: 2010-12-02T06:57:00+01:00da
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